La paura al tempo del covid-19

di Lorenza Moscara

Chiusi in casa, connessi dentro. Ha avuto inizio ieri il primo ciclo di incontri di Educazione alla Coscienza proposto anche quest’anno dalla Pastorale Universitaria. I cantieri della formazione e dell’accompagnamento alla persona per costruire studenti-cittadini-cristiani più consapevoli non hanno chiuso i battenti di fronte all’ondata confinante di Covid-19. In una sede virtuale ma accogliente e supportati dai mezzi tecnologici di cui oggi più che mai apprezziamo i vantaggi, abbiamo potuto sperimentare una ginnastica del ragionamento e un altrettanto efficace incontro dei pensieri in videoconferenza. Ai tempi della pandemia e degli ingombranti stati emotivi che si trascina dietro, parliamo di paura con il professor Antonio Allegra. Il docente di Storia della filosofia all’Università per Stranieri ci ha condotto in una riflessione faccia a faccia con questo sentimento atavico, ospite più o meno sgradito dei nostri giorni.  

Che cos’è la paura? Da dove viene? Quante e quali sono le sue facce? Che senso ha? Dove ci porta?  Sono gli interrogativi di partenza per aggredire i caratteri di quest’emozione primaria, sgradevole e vitale allo stesso tempo, con cui siamo stati tutti costretti ad entrare in confidenza. Certo la paura non è arrivata nelle nostre esistenze con il virus venuto dalla Cina, non è una sensazione nuova. Sicuramente però, in questo momento è piuttosto democratica, spalmata, in quantità e qualità diverse, sulla maggior parte della popolazione di fronte alla percezione di un pericolo vicino e globale. La paura è un’emozione di difesa che condividiamo con il mondo animale. E’ uno dei nostri baluardi della sopravvivenza sulla terra e anche se siamo passati nei secoli dalla paura di essere attaccati dagli animali selvatici a timori contemporanei come perdere il lavoro o ammalarci, la paura conserva il suo valore adattativo. Di fronte ad una situazione di pericolo reale o previsto, l’organismo, mentalmente e fisicamente, si prepara a difendersi con un atteggiamento di lotta o di fuga. Il senso di minaccia all’esistenza, all’integrità biologica, ci consente di affrontare la circostanza rischiosa. L’uomo, però, non risponde alla paura solo con l’istinto. La razionalità, valore fondante della condizione umana, ci porta a ampliare la sfera di possibilità rispetto a quella stessa paura, a sfruttarne il suo valore cognitivo, a farne strumento per interagire meglio con il mondo e trampolino di lancio per l’evoluzione. I nostri avi, pungolati dalla paura, si sono attrezzati per costruire luoghi di riparo, confini per difendersi da nemici, protezioni dalle intemperie e tutti gli altri stratagemmi via via più evoluti che hanno permesso la sopravvivenza della specie in condizioni di progresso e benessere crescente. La paura di oggi, che sia del contagio, del tracollo finanziario, della malattia, della necessità di cure intensive o della morte, palesandosi, può rilanciarci verso quel tentativo dialogico arduo ma prettamente caratterizzante l’uomo, di interfacciare pulsione e razionalità. E di tirarne fuori scelte che sono di sopravvivenza, ma anche di innovazione, di scoperta, di crescita per il singolo e per la collettività.

L’altra faccia possibile della medaglia? Il congelamento. L’animale che si finge morto di fronte al pericolo per allontanare l’avventore è l’uomo dei nostri tempi che si trincera nell’immobilità assoluta per difendersi dal virus. Quello schiacciato dalla solitudine di una vita modificata nelle sue consuetudini. Colui che rimane in catatonica attesa che il pericolo passi per riappropriarsi dei suoi spazi vitali. E’ una risposta funzionale anch’essa, c’è una protezione anche nel freezing, ma a quale costo? Quale sia il giusto bilanciamento tra la paralisi, che consente una vita pur non vivendo e l’esposizione al rischio con le sue potenziali conseguenze, è un esercizio della coscienza. E’ necessario e fa parte del gioco. I cigni neri, come ci ricorda il professor Allegra, fanno parte della storia. Una pandemia o un altro evento abnorme, imprevisto e con conseguenze di grande portata, periodicamente accade e continuerà a verificarsi. Con che postura viene fuori l’uomo del the day after, quali siano le conseguenze sociali di un simile impatto, dipende ogni volta dal modo in cui l’uomo reagisce. Soccombere o avanzare di livello. Essere annientati o ricominciare trovando altri significati in quel vuoto spaventoso che ci siamo trovati inaspettatamente davanti. Siamo tutti curiosi di sapere come usciremo da questa catastrofe collettiva e la risposta è nella risposta di ognuno. Nella sua plasticità a questa pressione. Nella capacità con cui riusciremo ad assorbire l’urto, non nella sua potenza distruttiva ma come polveriera esplosiva di creatività.

Sappiamo che l’adattamento al cambiamento è una capacità della nostra specie. La storia dell’uomo parla di resistenza, capacità di ripensarsi e reinventarsi per andare avanti; di sangue e sudore frammisti a genialità che superano ostacoli apparentemente invalicabili. E a questa resilienza possiamo allenarci, a maggior ragione in questo tempo che ce ne da modo, ognuno in quello a cui è chiamato ma diversamente rispetto a quanto era abituato. Se la didattica non può essere più presenziale, per esempio, il docente cercherà nuovi metodi più adatti alle esigenze del momento per raggiungere lo scopo e i suoi allievi. Così per lo studente e ogni altra professione o ruolo familiare: se la modalità utilizzata in precedenza non è più perseguibile, un’altra strategia attende di essere esplorata e appresa per arrivare alla soluzione più efficace.

Le risorse per resistere e farlo in maniera creativa, però, non sono uguali per tutti. Non lo sono quelle psicologiche ma neanche quelle fisiche, esterne. A seconda di metri quadrati e mezzi economici, per esempio, l’isolamento da pandemia diventa un momento di distensione per prendere il sole in giardino per alcuni e un calvario di disagio abitativo ed economico per altri. L’accessibilità agli strumenti digitali e alle risorse online condiziona la possibilità di mantenere le reti relazionali e supportive per arginare la solitudine, di continuare a svolgere attività lavorative o dilettantistiche, per quanto possibile.  

La graduale ripresa della vita dopo la fase delle restrizioni governative più stringenti, sarà in qualche modo un tempo ancora più incerto perché non avremo a guidarci il template della normalità passata né un’altra modalità precostituita già validata per vivere le fasi che ci attendono. Dovremmo convivere con la paura della possibile contaminazione biologica ancora per un po’ facendo delle scelte che di volta in volta forse ci metteranno in crisi. D’altro canto, anche la prospettiva di utilizzare sistemi di sorveglianza per limitare e gestire nuovi focolai, come droni e app di contact tracing, apre fratture nelle riflessioni. Sono mezzi necessari? Funzioneranno? Qual è il ruolo della responsabilità personale? La disponibilità a concedere qualche tipo di informazione sul proprio conto in nome di una sicurezza collettiva porta con sé un qualche senso di limitazione della libertà individuale, timore di manipolazione o uso improprio di  strumenti e contenuti. Anche in questo caso, si ripropone una dinamica di paura e raziocinio da chiamare a confronto per arrivare a una sintesi soddisfacente.

Se al rischio di infettarci dovremmo ancora far caso per un po’, alla contaminazione del pensiero siamo tenuti a non rinunciare. Anche se, a giudicare dall’overflow di informazioni a cui siamo esposti in questi tempi, sembrerebbe che questa viralità di contenuti seri frammisti a opinioni personali discutibili o addirittura fake news possa essere addirittura dannosa e fuorviante. Nella pluralità caotica delle voci e delle vedute, capire a chi conferire autorevolezza condiziona molti dei nostri comportamenti e delle nostre scelte. In ambito scientifico diventa anche un problema, perché l’unica fede e garanzia che la scienza può avere è nel suo metodo: non in una persona, non in un contenuto. Ma è la molteplicità della lingua che caratterizza l’informazione di un sistema democratico. E non è per niente facile districarsi se il suolo in cui ci muoviamo non ci appartiene e non abbiamo gli strumenti per interpretare alcuni dati.

Rimane imprescindibile lo sforzo di ragionare. Leggere, con senso critico e senza pregiudizi, confrontare le fonti, provare a comprendere, non affezionarsi troppo alle proprie credenze, farsi un’idea che rimanga sempre aperta al confronto e al cambiamento. Perché è in questo stesso scambio di informazioni e visioni diverse l’hummus della vittoria, in questa sfida come in altre che l’hanno preceduta. Dalla condivisione di esperienze, intuizioni, studi metodici e rigorosi di una comunità impegnata e interconnessa stiamo costruendo il nostro patrimonio di informazioni su questo virus che non esisteva prima e per il quale stiamo assistendo ad una vera e propria curva di apprendimento sul campo. In questo lavoro di scambio di contributi, coraggioso e a tratti “babelico”, è la strada dell’avanzamento.

Grazie al professor Allegra per averci regalato, con la sua fluidità intellettuale, immagini della storia dell’uomo e del pensiero dei grandi filosofi come strumenti per pensare e approcciare questo momento storico. Grazie soprattutto per la disponibilità al dialogo, rispondendo alle nostre domande e accogliendo la nostra sete senza restituirci verità granitiche e risposte esatte, ma scenari personali da comporre per un vero triathlon del ragionamento e della critica.